Illustre Feccia Solo Show – Canzonata Bohèmien, il vero e il falso
ILLUSTRE FECCIA soloshow SOCIALMEDIA 1
28 giorni {Terminato}
dal 18/02/2023 al 18/03/2023

Canzonata Bohèmien è un’omaggio a Modigliani e Illustre Feccia lo fa alla sua maniera, alterando il codice estetico, il linguaggio, i quadri, le firme, i loghi e superando ogni canone stilistico. L’artista, celebrando Amedeo, si riscopre nell’azione di Angelo Froglia, nella “ beffa” dell’ 84. Amedeo Modigliani era un pittore che possiamo definire sottoproletario e bohemien.
Oggi cosa ne rimane? Rimane l’amore per la sua arte, senz’altro. Ma rimane anche reale la sua trasformazione in una ‘firma’, in un ‘brand’.
Il progetto nasce quindi dal rifiuto. Dal rifiuto di vederlo trasformato in un brand. Non lasciare Modì nelle mani degli sciacalli dell’arte, trasformato in borsa di Gucci, o peggio in carta da parati.
Illustre Feccia vuole sovvertire tutto questo e il messaggio è quello di riappropriarsene, culturalmente e artisticamente.
I 𝒔𝒖𝒃𝒗𝒆𝒓𝒕𝒊𝒔𝒆𝒓 sovvertono, trasformano tutto quello che non piace loro. Partono dall’analisi e dalla negazione della conoscenza verticista, per muovere critiche – e allo stesso tempo riflessioni.
Noi ci riprendiamo Dedo! Modigliani scappato a Parigi, amante dell’arte espressionista e della ‘filosofia’ tardo romantica di Baudelaire, Rimbaud e Nietzsche.

Illustre Feccia Solo Show
a cura di Alessia Tommasini e Uovo alla Pop
dal 18 febbraio al 18 marzo 2023presso la Galleria Uovo alla Pop
scali delle cantine 36/38 Livorno

Aperture venerdì e sabato pomeriggio o per eventi – consigliata email a uovoallapop@gmail.com per INFO mostra e orari

 

siti :

https://www.instagram.com/illustre_feccia/

https://fecciax.blogspot.com/?m=1

Video Installazione in mostra di Vytautas Rimkevicius
Instagram: vytautas.take2

CURATELA

IL PROGETTO, COSA SIGNIFICA TUTTO QUESTO?

L’ORIGINE: AMEDEO MODIGLIANI (Livorno 12 luglio 1884 – Parigi 24 gennaio 1920)

21 gennaio 1906, stazione ferroviaria della Gare de Lyon, nel XII arrondissement parigino.

Un bel giovane, di circa vent’anni, scende dal treno appena arrivato dall’Italia, da Livorno per la precisione. 

Si tratta dell’artista italiano Amedeo Clemente Modigliani, detto anche Dedo, o Modì. 

Era bello, grave, romantico” così lo ricorda Jean Cocteau.
Alto, capelli scuri, occhi chiari e luminosi, mani delicate e gentili, affascinante e con una “voce di velluto”.

Leggeva Petrarca, Machiavelli, Carducci, Baudelaire e Rimbaud, Nietzsche e Koprotkin, il filosofo teorico dell’anarchia.

Perché Modigliani sceglie Parigi? Perché Parigi all’epoca era la capitale delle correnti Avanguardiste.

Le sue opere raccontano la sua vita. Il suo spirito era quello di un bohèmien, tormentato. Modigliani però soffre di salute cagionevole sin dall’adolescenza, ragione per la quale, ad un certo punto, di far ritorno nella sua Livorno, per godere dei benefici del clima mite della città.

Qui ha inizio la prima parte della nostra storia.

Pare che Modigliani volesse realizzare delle sculture, delle teste per la precisione, da alcuni suoi disegni. Di quelle sculture di Modigliani (esistenti o no? Realizzate o no?) non si sa molto; il racconto è sospeso tra il mito e la leggenda. Qualcuno pensa che Dedo le abbia realizzate e in un impeto d’ira… gettate nel Fosso Reale.

LA BEFFA DI LIVORNO: QUELL’ESTATE DEL 1984 E I FALSI RITROVATI

Livorno, estate del 1984.
Il Comune vuole organizzare una mostra in omaggio ad Amedeo Modigliani, in occasione dei cent’anni della sua nascita. Si tiene al Museo Progressivo di Arte Moderna, ospitato presso Villa Maria.

L’organizzazione viene affidata a Vera Durbè, curatrice del Museo, e a suo fratello Dario, sovrintendente alla GNAM, Galleria di Arte Moderna di Roma. Per arricchire la mostra i due fratelli decidono di… far scavare nei fossi di Livorno, alla ricerca delle famigerate teste che Modì vi avrebbe gettato.
È il 16 luglio quando gli scavatori cominciano a dragare il fondale del Fosso Reale, nel punto in cui si crede che l’artista abbia gettato le sue “opere”.

Per otto giorni si scava il fondo portando a galla un po’ di tutto. Quando, qualche giorno dopo, una escavatrice riporta alla luce qualcosa, qualcosa che somiglia a una testa.

In pochi giorni si susseguono tre ritrovamenti, tre come le teste che Modì avrebbe gettato in acqua

Per i fratelli Durbè e per alcuni critici d’arte non vi sono dubbi: le teste erano degli “originali Modigliani”. La gioia della città, però, dura pressappoco un mese. Perché poco dopo si scopre che tre studenti livornesi, hanno scolpito loro stessi la seconda delle tre teste rinvenute. Per dare vita ad una burla.

ANGELO FROGLIA

Poco tempo dopo, si svela l’identità dell’autore delle due teste ritrovate: un certo Angelo Froglia, un portuale livornese, dedito a vizi e droghe, uno appassionato d’arte – così viene descritto frettolosamente dai primi giornali che si occupano della notizia.

Froglia dichiara però qualcosa di diverso dai tre studenti. Spiega che la sua azione è «[…] un’operazione estetico-artistica per verificare fino a che punto la gente, i critici, i mass-media creano dei miti».

Chi era Angelo Froglia?

“Parlando di Angelo Froglia è difficile distinguere fra l’arte e la vita – sostiene Tommaso Magnano, autore del lungometraggio “L’inganno dell’arte” – poiché lui fece di tutto affinché l’intera sua esistenza somigliasse a un’opera d’arte». Una vita piuttosto turbolenta, vissuta costantemente sul confine fra genio e follia, e un’attività artistica troppo spesso dimenticata.

IL DUALISMO ESTETICO, ovvero “Si vede come si vuol vedere, ed è questa falsità che costituisce l’arte”

Quella di Froglia è stata una operazione artistica o una semplice provocazione?

Che cosa può definirsi vero e cosa falso?

Per primo il filosofo Friedrich Nietzsche, nella sua “Critica alla Metafisica”, ha gettato le premesse per una decostruzione e una sovversione radicale del concetto di dualismo. Così anche Max Weber nel “Il lavoro intellettuale come professione” del 1919 ha affrontato il medesimo argomento e giunge alle stesse conclusioni.

Ovvero sostengono che non esista il vero contrapposto al falso. Non esiste un dualismo così netto e necessario.

Questo vale soprattutto nell’ambito artistico; un’opera può essere “vera” senza necessariamente avere un valore estetico. Viceversa, un falso può essere considerato pregevole, di valore, bello.

La ragione principale di questa indeterminatezza, è che l’arte è indissociabile dal giudizio del pubblico, socialmente condizionato e storicamente determinato.

LA POTENZA DEL FALSO

Cosa significa veramente essere un “falso artista”, produrre della “fake art”?

Il consenso su ciò che si definisce la “vera arte” è qualcosa di fortemente dibattuto nella comunità artistica. Futurismo, surrealismo e dadaismo hanno ridicolizzato la pretesa che l’arte sia una sorta di “mimesi trascendente del mondo reale”.

Con questo vogliamo affermare che l’arte contemporanea sfugge, in questo senso, alla gabbia del rigido dualismo esistente/inesistente, giusto/sbagliato, bello/brutto.
Se così è, anche il 
vero (nel senso di autentico) e il falso non hanno molta ragion d’essere.

Un’opera realizzata da un cosiddetto falsario non è né vera, né falsa. Essa semplicemente è.

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